Posted on 03 gennaio 2011
L’accordo di Cancún è stato presentato all’opinione pubblica come un progresso nella lotta per raffreddare il pianeta. È vero? No, non lo è. È stato un fallimento. Per combattere il cambio climatico c’è solo una misura efficace: ridurre le emissioni dei gas da effetto serra. L’accordo approvato nella Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambio Climatico (Cop 16) non è avanzato di un solo millimetro in questa direzione.
L’accordo di Cancún è buono per gli Stati Uniti e i paesi sviluppati, ma è molto cattivo per il clima. Non impedisce che la temperatura globale aumenti più di quattro gradi centigradi.
E, come ha segnalato con tutta chiarezza la delegazione boliviana, “recenti rapporti scientifici mostrano che 300mila persone stanno già morendo ogni anno per i disastri relazionati al cambio climatico. Questo studio minaccia l’aumento di morti annuali a un milione”.
Gli impegni di ridurre le emissioni previsti nel documento arrivano appena al 60 per cento di quello che indica l’Ipcc (Intergovernment Panel on Climatic Change) come requisito per la riduzione della temperatura. L’accordo concede una licenza di uccidere. Più che un progresso è un regresso. Le nazioni sviluppate non hanno offerto niente di nuovo in quanto a riduzione di emissioni né sui finanziamenti.
Al contrario, sono riusciti ad aprire la possibilità di fare marcia indietro rispetto agli impegni esistenti e ad aprire tutte le vie di fuga possibili all’evasione delle proprie responsabilità. Il testo comunica testualmente che i paesi accordano che le emissioni nazionali “devono toccare il tetto quanto prima”, ma non specifica qual è questo tetto, quando è “quanto prima” né a che va incontro chi non lo rispetti.
L’accordo di Cancún crea le condizioni per svuotare di contenuto il Protocollo di Kyoto, che fu approvato nel 1997 in Giappone ed entrò in vigore nel febbraio del 2005, fissando i limiti per l’emissione di gas da effetto serra, vincolanti, per 37 paesi industrializzati. Gli Stati Uniti hanno firmato l’accordo ma non l’hanno ratificato. I 183 paesi che l’hanno ratificato sono stati responsabili del 55 per cento delle emissioni di CO2 dal 1990.
Il documento approvato è pieno di lacune, confusioni deliberate e imprecisioni. Stabilisce, per esempio, che si devono completare i lavori per prorogare Kyoto “il più presto possibile affinché non ci sia un gap fra il primo e il secondo periodo di osservanza”, ma non dice come, quando, dove e in che termini. Si tratta di un’espressione di buona volontà. Per esempio, il Giappone, che si era negato ad accettare un secondo periodo di osservanza, può affermare di sentirsi vincente.
Il testo di Cancún apre la possibilità che gli obiettivi di diminuzione dei gas da effetto serra non siano vincolanti (come sono ora) e la loro osservanza sia solo volontaria, vale a dire come una scampanata a messa, a cui va chi vuole. I paesi – dice il testo – si impegnano a “discutere le possibilità legali per arrivare a un risultato accordato” nel 2011 al vertice di Durban.
L’accordo di Cancún è stato approvato senza consenso e con una manovra diplomatica di gravi conseguenze per il futuro. Nell’assemblea plenaria, la Bolivia ha espresso il suo disaccordo in maniera ponderata. La ministro degli esteri messicana, Patricia Espinosa, ha violentato il sistema della presa di decisioni delle Nazioni Unite. Questo tipo di risoluzioni devono essere approvate per consenso, vale a dire senza voti contro. E’ sempre stato così. E questa norma non è stata rispettata. La rappresentante messicana ha rotto la regola del consenso. La violazione costituisce un grave precedente.
Penosamente, la Bolivia non è stata appoggiata dai paesi dell’Alba (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América, fondata nel 2004, vi aderiscono Bolivia, Venezuela, Ecuador, Cuba, Nicaragua, Dominica, Antigua e San Vicente, ndt). L’hanno lasciata morire sola, hanno permesso che il governo messicano la isolasse. Claudia Salerno, la rappresentante del Venezuela, ha giocato a presentarsi come la “negoziatrice responsabile”, dichiarando alla fine: “Io posso tornare a casa dicendo: qualcosa ho ottenuto”. Naturalmente non ha chiarito che cosa. Alcuni rappresentanti diplomatici di queste nazioni hanno detto, ufficiosamente, che le posizioni di Evo Morales erano molto radicali, che non portavano da nessuna parte e che era necessario arrivare a una dichiarazione finale di compromesso.
La posizione della Bolivia a favore della giustizia climatica nel vertice è stata totalmente congruente con le proposte accordate dai 35mila partecipanti alla Conferenza Mondiale dei Popoli che si è tenuta a Cochabamba nell’aprile 2010. Nell’anno trascorso da Copenhagen, queste proposte sono state integrate nel testo di negoziato delle parti. Tuttavia, il testo di Cancún ha escluso sistematicamente queste voci. Il resto delle nazioni che integrano l’Alba non hanno onorato questi impegni, malgrado la partecipazione di vari presidenti latinoamericani a Cochabamba.
Un indizio degli interessi presenti nell’accordo di Cancún è dato dalle dichiarazioni di Todd Stern, il rappresentante degli Stati Uniti. Siamo arrivati a un pacchetto equilibrato di decisioni, ha detto. E ha aggiunto: “Quello che abbiamo ora è un testo che, sebbene non sia perfetto, è una buona base per andare avanti”.
A Cancún non si è fatto un piccolo passo avanti, come pretendono delle ong come Oxfam. Al contrario, si è dato via libera a una maggiore privatizzazione e mercantilizzazione del clima. Ha detto bene Via Campesina: “Il bilancio è negativo per l’umanità, perché si sono aperte le porte al gran capitale e alle multinazionali per continuare a fare i loro affari seguitando a giocare con la vita.
Autore: Luis Hernández Navarro / Fonte: selvasorg.blogspot