Vi spiego l’incidente nucleare nella centrale di Fukushima (con una riflessione)
di Bruno Chiantore - sabato 26 marzo 2011
Per le foto entrare nel sito http://www.piazzacavour.it/2011/03/26/vi-spiego-lincidente-nucleare-nella-centrale-di-fukushima-con-una-riflessione/2 commentiIl Commento, Top
Occorre, in primo luogo, precisare che la successione degli eventi, chiara in termini qualitativi e per quanto riguarda le immagini riprese dall’esterno è, al momento molto lacunosa, per la reticenza, solo in parte comprensibile, della Società proprietaria della centrale (TEPCO).
Una ricostruzione dettagliata, ma abbastanza contraddittoria anche nei limiti sopra specificati, si può trovare in internet, nei documenti IAEA e Wikipedia alla voce “Fukushima nuclear accidents”.
Fig. 1 - L’impianto di Fukushima -1
Ai fini di una miglior comprensione di quanto è successo, si riportano, nelle figure seguenti:
• L’impianto di Fukushima-1, con le quattro unità coinvolte dall’incidente (fig. 1).
• Uno schema dell’edificio reattore e dei principali componenti di un impianto con reattore ad acqua bollente (BWR), simili a quelli di Fukushima (fig. 2).
• Si riporta anche, in fig. 3, ai fini di una migliore comprensione dell’incidente, la rappresentazione di un elemento di combustibile tipico per reattori raffreddati ad acqua. Da sinistra: le “pellets” di ossido di Uranio che sono inserite all’interno di guaine di Zirconio (barre di combustibile); a loro volta, le barre sono montate in elementi di combustibile, che, disposti affiancati, costituiscono il nocciolo (core) del reattore. L’acqua attraversa longitudinalmente il nocciolo, assorbe il calore generato e, nel caso di reattore ad acqua bollente (BWR), bolle, in pressione, generando vapore che viene inviato a far girare una turbina ed il generatore elettrico.
Fig. 2 - Impianto con reattore ad acqua bollente (BWR)
Fig. 3 Elemento di combustibile tipico per reattori raffreddati ad acqua
Cronistoria dell’incidente
Alle 14-46 dell’11/3/2011 avviene il sisma di grandissima potenza (magnitudo 9 Richter, il quinto per gravità nella storia ed il più forte mai avvenuto in Giappone) al largo (130 km) della costa settentrionale dell’isola di Honshu.
Focalizzandoci sui reattori che saranno incidentati, nella centrale di Fukushima - 1, i reattori 1, 2 ,3, in funzione, si spengono automaticamente; i reattori 4, 5 ,6 sono fermi per manutenzione.
Come tutti gli impianti di questo tipo, il n˚4 contiene, nella piscina di stoccaggio temporaneo del combustibile esaurito (SFCP), interna all’edificio reattore (RB), combustibile estratto dal vessel (RV) da poco tempo, nel Novembre 2010.
In sintesi, solo i reattori 1,2,3 hanno il combustibile nucleare nel reattore, tutti hanno combustibile esaurito nelle piscine di stoccaggio.
Con il ritardo di circa 15 minuti richiesto per superare la distanza tra l’epicentro del sisma e la costa, l’onda di tsunami si riversa sulla centrale e distrugge, almeno funzionalmente, tutto ciò che si trova al di fuori degli edifici reattore (RB).
Nell’intervallo di tempo tra questi due eventi, con una sequenza tuttora non nota con certezza, ma molto probabilmente simile a quella di seguito indicata e certa nella situazione finale, si verificano: la perdita della rete elettrica esterna (mancanza di energia alle pompe che riportano l’acqua dal turbogeneratore), la chiusura delle valvole di isolamento (MSIV), l’allineamento del sistema di raffreddamento di emergenza del nocciolo (ECCS), l’avvio dei diesel generatori di emergenza che, in assenza di potenza elettrica esterna, assicurano il buon funzionamento dell’ECCS.
In conclusione è assicurato il raffreddamento del combustibile nucleare nel nocciolo (core) nei primi minuti, i più critici per l’elevato calore immagazzinato e per la più alta potenza di decadimento da smaltire; l’arrivo dello tsunami, con il blocco dei diesel generatori, impedisce il funzionamento dell’ECCS e quindi il raffreddamento del nocciolo a medio e lungo termine. Qualora il raffreddamento delle barre di combustibile fosse mancato prima, la sequenza dei guasti successivi sarebbe stato ben più rapida e catastrofica.
Una grande quantità di acqua demineralizzata e borata è necessaria per il raffreddamento e per assicurare la sottocriticità (assenza di reazioni nucleari) dei noccioli dei 3 reattori in funzione e delle piscine di stoccaggio. Ai fini del raffreddamento del nocciolo, una buona parte dell’acqua è contenuta all’interno dal contenitore di sicurezza (PC), che deve comunque essere reintegrata e/o raffreddata con l’utilizzo dell’energia prodotta dai diesel di emergenza, il che non può avvenire per la loro indisponibilità.
Lo stesso dicasi, sia pure con tempi più lunghi, per le piscine di stoccaggio del combustibile.
Dopo una prima fase, di iniezione d’acqua ad alta pressione, per l’entrata in funzione del sistema di raffreddamento di emergenza (ECCS) alla portata richiesta a questo scopo, è necessario ridurre la pressione del vessel mettendolo in collegamento con il contenitore primario di sicurezza (PC), scaricando vapore dal primo nel secondo.
Mancando l’energia elettrica (prodotta dai diesel di emergenza) le pompe dell’ECCS non funzionano. Il livello dell’acqua refrigerante nel nocciolo si abbassa, fino a scoprire, almeno in parte, le barre di combustibile nel core , caldissime, e sale la temperatura e la pressione all’interno del reattore e del contenitore primario di sicurezza (PC) che lo contiene.
Per contenere la sovrapressione nel reattore e nel contenitore di sicurezza, determinata dal mancato reintegro e insufficiente raffreddamento, si effettua un rilascio di vapore dal contenitore di sicurezza (PC) all’edificio reattore (RB).
Tale azione viene effettuata alle 10-09 del 12/3 (quasi 20 ore dall’inizio dell’incidente) per l’unità n˚1 e mezz’ora dopo per l’unità n˚2.
Alle 15-36, per esplosione di idrogeno, a contatto con l’aria interna all’edificio reattore (RB), la parte superiore dell’edificio stesso (non progettato per resistere e eventi di questo tipo) collassa.
L’esplosione evidenzia che le guaine di rivestimento (in Zirconio) delle barre di combustibile non sono raffreddate e, surriscaldate, hanno reagito col vapore producendo, appunto H2.
Ad un certo momento, esaurite le scorte di acqua demineralizzate, si decide di iniettare acqua di mare, utilizzando il sistema antincendio (o mezzi esterni alla centrale), per continuare, nei limiti del possibile il raffreddamento del nocciolo, sempre a fasi alterne, più o meno scoperto, per evitarne la fusione.
Si osserva che il raffreddamento del combustibile ad altissima temperatura non può e non deve avvenire troppo rapidamente: non può (l’acqua ha difficoltà a bagnare una superficie troppo calda, per il fenomeno della calefazione) e non deve, per non provocare un rilascio di vapore eccessivo e tale da mettere a repentaglio l’integrità del contenitore di sicurezza (PC).
Questa sequenza viene ripetuta, in molti casi quasi alla cieca per guasti o fuori scala dei sensori per tutti e tre i reattori, mentre si cerca di ripristinare i collegamenti con la rete elettrica esterna per consentire una manovra più efficiente.
Il 16/3 la situazione, che rimarrà invariata almeno fino ad oggi, è la seguente: la parte superiore degli edifici 1,3,4 sono completamente distrutti, quello del 2 solo parzialmente.
Occorre qui riportare l’attenzione alle piscine di stoccaggio del combustibile esaurito (SFPC), che pure richiedono raffreddamento e, in sua assenza, reintegro d’acqua, sia pure con tempi più lunghi e con portata minore. Si ricorda che essi si trovano all’interno dell’edificio reattore e che la piscina dell’unità 4 contiene combustibile scaricato da poco, quindi ancora molto “caldo”, per il calore rilasciato dal decadimento dei radionuclidi contenuti: evidentemente il livello dell’acqua è sceso, fino a scoprire gli elementi di combustibile, e bolle a 100°C; le guaine sono caldissime, avviene anche qui la razione Zirconio-vapore d’acqua e successiva esplosione dell’idrogeno che si forma. Da qui l’esplosione nell’edificio del reattore n° 4, che, come si ricorda, era spento e senza combustibile all’interno.
Lo stessa (o molto simile) sequenza di eventi ed interventi avviene, con tempi più lunghi, anche per le altre unità.
A partire dalle ore 10 del 17/3 (6 giorni dall’inizio dell’incidente), iniziano i tentativi di gettare acqua sulle centrali con elicotteri e con idranti da terra. Tali interventi proseguono con alterne fortune, ma con sempre maggior efficienza nei giorni seguenti: essi appaiono validi per il raffreddamento delle piscine di decadimento (SFCP) degli impianti ove il tetto è distrutto (n°1,3,4), ma di scarsissima efficacia per il raffreddamento del combustibile nel core.
Nello stesso giorno iniziano i tentativi di riallaccio alla rete esterna, la cui efficacia è largamente legata allo stato delle utenze che ne devono usufruire per il ripristino del raffreddamento (dei noccioli e delle piscine, comprendendo tra queste anche le unità n° 5 e 6). La sequenza del ripristino appare, probabilmente in relazione a quanto sopra, quasi più legato alle possibilità che alle esigenza effettive.
Nel giorno 21/3 (e forse anche nel giorno seguente), si sono verificati rilasci di fumo, grigio dal reattore n˚ 3, bianco dal n˚2.
Gli sforzi per il collegamento alla rete elettrica esterna, difficile per la radioattività ambientale, elevata in prossimità della centrale, hanno avuto completamento nella notte del 22/3; sono in corso le verifiche di funzionalità di tutto l’impianto (elettrico e meccanico).
La situazione alle ore 21 del 23 Marzo, è la seguente (tratta dalla “Timeline of the Fukushima nuclear accidents”, e da rapporto IAEA), non troppo dissimile da quella del 16/3.
Formazione e rilascio di radionuclidi
Per una migliore comprensione, si consiglia riferirsi alla figura riportata all’inizio che rappresenta un elemento di combustibile tipico per reattori raffreddati ad acqua (BWR e PWR).
Il processo di fissione nucleare implica la frantumazione del nucleo del materiale fissile (Uranio o Plutonio) in due frammenti (nuclei) radioattivi. Tali sostanze, che si formano all’interno della matrice di uranio, occupano anche lo spazio tra pellets e guaina.
La fessurazione e, peggio, la distruzione delle guaine implica il loro rilascio all’ esterno.
Tale processo inizia alla temperatura di circa 800 °C: le guaine (in lega di Zirconio) si rigonfiano e fratturano; a circa 1200° C inizia la reazione tra zirconio e vapore, rapida e fortemente esotermica. In assenza di refrigerazione la temperatura sale ancor di più e gli elementi di combustibile perdono geometria e consistenza, in un cumulo di frammenti, fino al momento in cui si ripristina il raffreddamento. In tutte queste fasi, si ha il rilascio dei prodotti di fissione, in un crescendo tanto maggiore quanto maggiore è il danno del nocciolo.
Le molecole radioattive possono essere rilasciate sia come gas, sia, più frequentemente, come particelle solide sotto forma di aerosol. Tra di esse vi sono sostanze che decadono (da radioattive e stabili) alcune rapidamente, nell’arco di secondi, altre a vita molto lunga (giorni e anni); sono ovviamente queste ultime che preoccupano maggiormente per la salute. Le particelle radioattive sono pericolose per esposizione diretta esterna, ma ancor di più per l’ingestione, attraverso il respiro o per l’assunzione di cibo che ha assorbito, depositate dall’aria (contaminazione superficiale) o assorbite, dalle radici, per i vegetali, o attraverso la catena alimentare, per gli animali.
Occorre osservare che il rilascio avviene all’interno del contenitore di sicurezza ed ivi rimane racchiuso, finché esso è integro o finché non si decide di sfiatare vapore (come è avvenuto nella centrale di Fukushima) per impedirne la rottura.
In questo senso, l’incidente giapponese differisce profondamente da quello di Chernobyl (per altro molto diverso anche per tutta la dinamica) in quanto nel reattore russo non esisteva alcuna barriera al rilascio all’atmosfera, mentre in questo caso il rilascio è, in qualche modo, controllato e contenuto. Esso differisce anche da quello di Three Miles Island, nel quale si ebbe la fusione totale del nocciolo, ma con rilasci all’esterno modestissimi, essendo praticamente tutti i prodotti radioattivi rimasti racchiusi all’interno del contenitore di sicurezza. Ancora, rispetto a Chernobyl, l’effetto “camino”, dovuto alla combustione della grafite, ha spinto la radioattività ad altissima quota con diffusione a livello globale, di intensità non prevedibile in questo caso.
La figura (cliccarvi sopra per ingrandirla) seguente appare molto interessante perché riporta misure continue della radioattività ai confini della centrale:
Dai sensori posti all’ingresso della centrale (main gate) si osserva che il valore della radioattività è mediamente pari a 0,01 mSv/h, con picchi, di breve durata, ma alto valore (fino a 0,5-1 mSv/h) dalle ore 12 del 12/3 alla stessa ora del 14/3; nei giorni successivi (con i dati, disponibili fino al 16/3) il valore tende a salire a valori medi anche superiori a 1 mSv/h , con picchi di 10 mSv/h.
I picchi sono, con ogni evidenza, associati a rilascio all’esterno di vapore contaminato dai contenitori di sicurezza (PC) o da abbassamento e ripristino del livello d’acqua nelle piscine (SFCP).
Sfortunatamente non sono disponibili dati sistematici per i giorni successivi; si trovano valori “spot” intorno a 0,03 mSv/h, non credibili: molto più probabili valori intorno a 1mSv/h, come nel giorno 16/3 destinati a decrescere lentamente. Una riduzione è attesa dal ripristino della refrigerazione delle piscine (SFPC), dal ripristino di una efficace raffreddamento dei noccioli, che però, per le ragioni precedentemente illustrate, deve avvenire lentamente e ha, come effetto negativo, la produzione di vapore che trascina i radionuclidi all’esterno. Realisticamente, essendo ancora molto lontana la condizione di “fine” incidente, ci si deve attendere rilasci di radioattività alti per molti giorni a venire.
Altro dato significativo contenuto in figura è il confronto con Chernobyl: i valori sono sistematicamente inferiori di un fattore tra 30 e 100. Tale differenza dovrebbe risultare ancor maggiore a grande distanza dal luogo dell’incidente, per l’effetto “camino” già citato.
Nell’evoluzione dell’incidente il livello di allarme INES (scala internazionale di evento nucleare), stabilito fin dall’inizio al valore di 4 (rispetto al valore massimo pari a 7) , è stato innalzato al valore di 5 il 18/3. La zona di evacuazione, inizialmente di 3 km, è stata rapidamente portata a 20 km. Le persone residenti tra 20 e 30 km sono invitate a restare in casa con finestre chiuse.
Ai fini della contaminazione ambientale fondamentali risultano i venti: per la prima settimana, i venti erano prevalentemente in direzione W-NW, di direzione opposta nei giorni 21-22/3, per poi riportarsi nella direzione originale. Data la posizione della centrale, per la maggior parte del tempo, i venti hanno trascinato gli aerosol radioattivi verso l’oceano.
Tra i prodotti di fissione, molta attenzione viene riservata, in particolare, agli isotopi radioattivi di Iodio, Cesio e Stronzio, sia perché presenti in modo abbondante tra i prodotti di fissione, sia per le caratteristiche radioattive (emivita = tempo dopo il quale la radioattività si dimezza) sia per quelle chimiche che ne determinano il comportamento fisiologico, in particolare per la loro tendenza ad essere eliminati o, viceversa, assorbiti nell’organismo.
Iodio-131 (emivita = 8gg), si fissa nella tiroide.
Cesio-137 (emivita = 30 anni), essendo chimicamente simile al potassio, viene in parte rapidamente eliminato nell’urina ed, in parte, assorbito dalle cellule dell’organismo in modo diffuso.
Stronzio-90 (emivita = 29 anni), simile al calcio, si deposita, per il 20-30% di quanto ingerito, nelle ossa.
Pure molto pericolosi sono Uranio e, ancor di più Plutonio (quest’ultimo presente nel combustibile del reattore n˚ 3) per loro tossicità radioattiva, ma ancor di più intrinseca, trattandosi dei più pesanti tra gli elementi pesanti. Per contro essi sono poco volatili e, a quanto risulta, non sono presenti tra i radionuclidi rilevati fino ad oggi.
A conclusione su questo argomento, è necessario mettere in chiaro che la quantità assoluta dei radionuclidi (frammenti di fissione) è funzione unicamente del tempo e della potenza prodotta dal combustibile e che l’unico meccanismo che ne determina la scomparsa è il decadimento nel tempo.
In condizioni normali di vita del combustibile nucleare essi rimangono confinati all’interno della matrice di ossido di uranio all’interno delle guaine. Il combustibile integro viene quindi conservato (in una prima fase, che può, in realtà, essere molto lunga) nelle piscine di stoccaggio (SFCP) o in altro locale della centrale, per poi essere trasferito in uno stabilimento per il “reprocessing” per il ricupero del materiale fissile ancora disponibile, ovvero portato in un impianto di deposito definitivo, adeguatamente inertizzato e racchiuso in contenitori a tenuta stagna.
Chiarito questo punto, risulta chiaro che, essendosi rotti gli elementi di combustibile, con distruzione delle guaine e fusione del nocciolo, una grande quantità di radionuclidi è rilasciata.
Nel caso di Chernobyl (Ucraina, 1986), il tipo di incidente e l’assenza di sistemi stagni di contenimento a tenuta ha fatto sì che praticamente tutto il contenuto di prodotti di fissione venisse rilasciato all’esterno.
Nel caso dei reattori come questi di Fukushima di concezione occidentale, nei quali il criterio del doppio sistema di contenimento è base di progetto, la maggior parte della radioattività, è credibile che rimanga all’interno del vessel o del contenitore di sicurezza (PC), a tenuta stagna, o disciolta nell’acqua in essi contenuta, con possibilità di interventi, molto difficili, lunghi e costosi, ma già sperimentati (ad esempio nella centrale di Three Miles Island , Pennsylvania, USA - 1979).
Ma altra parte, sfuggita all’esterno, portata dal vento, come gas o come particelle di aerosol, nell’aria e dilavata dalla pioggia, è destinata a cadere al suolo o nel mare.
E’ opportuno ricordare che tutti gli uomini sono esposti alla radioattività naturale, dovuta ai raggi cosmici (quindi alla altitudine sul livello del mare), alla presenza di sostanze radioattive nel suolo e nei materiali da costruzione. Il valore medio di tale esposizione, in Italia, è pari a 3,6 mSv/anno, con fortissime variazioni.
La dose di radiazione massima accettabile, in Italia stabilito dall’ICRP, per lavoratori professionalmente esposti (quindi sottoposti a controlli periodici) è pari a 50 mSv/anno ed è ritenuto di 10 volte inferiore a quello che può determinare effetti importanti sulla salute (il valore internazionalmente accettato è 100 mSv/anno). E’ ragionevole applicare questo limite per tutte le persone coinvolte dall’incidente come operatori e come residenti ai limiti della zona di evacuazione, per i controlli che vengono effettuati.
La presenza di Vigili del Fuoco addetti al lancio di acqua sulle centrali incidentate, a immediato contatto con esse, sia pure tenendo conto di turnazioni e di importanti protezioni individuali, lascia intendere che la grandissima parte delle sostanze radioattive sia rimasta contenuta all’interno delle centrali. Un intervento continuo di questo tipo sarebbe stato impossibile a Chernobyl; o, meglio, fu fatto dagli elicotteri con esiti fatali. Per esemplificare, con una esposizione a 1 mSv/h (come prevedibile dai dati misurati) il tempo di lavoro ammissibile per non superare la dose massima consentita, prima di essere tolto dal servizio in ambiente radioattivo è pari a 50 ore.
Nell’incidente in corso a Fukushima, sia la direzione prevalente dei venti, sia l’intervento del lancio d’acqua sugli edifici reattore semidistrutti, portano al mare la maggior quota della radioattività rilasciata: non stupisce quindi la preoccupazione e limitazioni per la pesca.
Ugualmente corretto il monitoraggio continuo dei prodotti provenienti dalle province esposte, come quella di Fukushima, sul latte e sull’acqua ed altrettanto dovute sono le limitazioni nella commercializzazione e nell’uso.
Riguardo all’aria e alla contaminazione superficiale ad essa dovuta, la distanza e la diluizione sono molto efficaci nel ridurre il contenuto di radionuclidi e quindi la pericolosità dell’irraggiamento esterno e dei radionuclidi respirati o ingeriti.
Per questo motivo, oltre che per una quantità relativamente limitata (almeno rispetto a Chernobyl) di rilascio, non sono prevedibili, per i nostri cieli, mari e cibi, situazioni di apprezzabile rischio.
Criticità dell’incidente
Occorre, innanzi tutto, evidenziare la straordinaria gravità dell’evento sismico e, soprattutto, dello tsunami che se ne è generato. A quanto pare, per la centrale come per tutto il Giappone, il secondo è stato ben più grave del primo. La cosa non stupisce essendo quella Nazione ben attenta ed attrezzata per affrontare i terremoti. Come evidenziato all’inizio della cronistoria dell’incidente, il terremoto non ha provocato danni (forse solo danni minori); per contro l’ondata d’acqua ha distrutto il sistema di raffreddamento di emergenza.
Non solo, esso ha distrutto praticamente tutto all’intorno della centrale, isolandola e rendendo estremamente difficile qualsiasi intervento dall’esterno.
Resta quindi da domandarsi se la localizzazione della centrale, direttamente affacciata sul mare, fosse corretta, con una sopraelevazione di pochi metri, evidentemente insufficiente.
Con il senno di poi, ed in assenza di informazioni precise, un ultimo aspetto riguarda una valutazione del comportamento degli operatori della centrale e le azioni che sono state effettuate per controllare l’evoluzione dell’incidente. Essi si sono trovati ad affrontare una situazione estremamente difficile, completamente al di fuori di quanto prevedibile e descritto nei manuali di intervento. Non si conosce la portata delle pompe che hanno consentito l’iniezione dell’acqua di mare, né quando e come sono state disponibili; con questi limiti, pesantissimi, si può osservare che tale intervento è stato troppo tardo e limitato. E’ anche possibile, come ritenuto da qualcuno, che si sia sottovalutata, inizialmente, la gravità dell’incidente e che si sia cercato di evitare l’utilizzo dell’acqua salata come refrigerante di emergenza per evitare un danno irreversibile ai reattori.
Quando finirà l’incidente? Risposta difficile: certamente si devono prevedere tempi lunghi. Un primo, più importante, risultato sarà raggiunto quando sarà interamente rimesso in funzione il sistema di raffreddamento, sia pure a portata ridotta, ma sufficiente al raffreddamento dei noccioli danneggiati e delle piscine. A quel punto saranno praticamente azzerati i rilasci di radioattività all’esterno. E’ lecito azzardare un tempo di qualche settimana? Seguirà un lungo lavoro di messa in sicurezza, di inertizzazione dei residui di combustibile e di loro trasporto in sede sicura, di smantellamento della centrale, che durerà anni.
Un’ultima domanda è lecita: una centrale “moderna”, per intendersi come le EPR ipotizzate per l’Italia, di terza generazione, si sarebbe comportata meglio? Certamente sì.
I criteri di progetto sono estremamente più stringenti, in termini di ridondanze e diversificazione dei sistemi di sicurezza; di protezione nei confronti di eventi esterni; di accorgimenti per la mitigazione ed il contenimento dei danni, comunque ipotizzati, derivanti da “incidente severo” (fusione del nocciolo); doppio sistema di contenimento; maggiore autonomia di funzionamento in contesti accidentali. I criteri di progetto sono sostanzialmente simili per le diverse soluzioni individuate dai costruttori. Impossibile e fuori luogo passarle in rassegna tutte. Una interessante panoramica si può in internet, alla voce “generation 3 reactor” coi vari link proposti. In riferimento alle centrali proposte per Italia, esaustivo il sito del costruttore AREVA.
Riferendosi a quest’ultimo, con riferimento all’incidente di Fukushima, ad esempio, i generatori diesel di emergenza, le vasche che contengono ampie riserve d’acqua per il raffreddamento di emergenza, le vasche di stoccaggio temporaneo del combustibile esaurito sono tutti racchiusi all’interno dell’edificio reattore o di edifici ausiliari ad esso collegati, con pareti in calcestruzzo armato di grosso spessore.
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ITALIA NUCLEARE ? (Prima di Fukushima)
Poco meno di 2 anni fa, Piazza Cavour, allora appena nata, pubblicò alcune mie riflessioni sulla proposta dell’allora ministro dello sviluppo economico Scajola, di rilanciare un programma nucleare in Italia. Le considerazioni (integrando anche le giustissime aggiunte di un mio ex collega, come me ingegnere nucleare direttamente operativo nell’industria del settore), che svolsi allora su i pro e i contro del nucleare, mi paiono ancora valide e, in sintesi, sono le seguenti:
Il rallentamento, per non dire l’arresto, delle costruzioni di impianti nucleari negli ultimi anni, nel mondo occidentale, erano legate, molto più che ad un “effetto Chernobyl”, da varie considerazioni, tra le quali prevalenti, quelle economiche:
1.l’abbondanza ed il basso costo del gas e del petrolio nel momento (10-15 anni fa) in cui si arrestarono le costruzioni di nuovi impianti;
2.il basso costo di impianto di una centrale alimentata a gas, con ritorno dell’investimento in 2 o 3 anni e guadagni enormi per le compagnie elettriche e petrolifere, rispetto ad una grossa centrale nucleare;
3.la deregolamentazione e privatizzazione dell’energia elettrica: solo compagnie elettriche pubbliche o pubblico-private di dimensioni molto grandi possono permettersi piani a lungo termine e investimenti importanti con ritorni a tempi lunghi (non meno di 10 anni, da aggiungersi ad altrettanti per la costruzione);
4.il cosiddetto effetto Nimby (not-in-my-backyard) cioè la difficoltà di localizzazione (da noi succede anche per gli inceneritori o termovalorizzatori che dir si voglia!): è molto difficile che qualcosa di meno di un potere politico centrale forte e credibile riesca a convincere che i rischi sono minimi a fronte di un beneficio collettivo; questo vale sia per le centrali che per gli impianti di deposito dei residui radioattivi. Evidentemente, nel nostro mondo occidentale, questi aspetti hanno avuto prevalenza rispetto agli oggettivi meriti della tecnologia. Non così, nell’Asia; non per niente, cioè, in quelle che sono ormai le “locomotive” dell’economia mondiale.
5.la difficoltà (e i costi) dello smaltimento dei residui radioattivi e dello smantellamento dell’impianto a fine vita;
6.l’esigenza di un severo controllo supernazionale svolto da un ente super-partes, l’IAEA (per capirci, l’ente che ha verificato la presenza/assenza di tecnologie nucleari a scopo militare in Iraq) sull’intera gestione dei materiali fissili, dalla produzione, all’uso, allo smaltimento; quest’ultimo punto evidenzia il legittimo, molto reale, timore della proliferazione delle tecnologie nucleari in paesi “a rischio”. In realtà il problema non è tanto legato all’uso dell’energia nucleare, quanto piuttosto ai processi di produzione (arricchimento) del combustibile nucleare.
A fronte di queste problematiche occorre anche evidenziare gli aspetti indiscutibilmente positivi dell’utilizzo dell’energia nucleare: emissione zero di CO2, indipendenza dal vincolo di fornitura del combustibile da paesi monopolisti e di scarsa affidabilità strategica, infine, rispetto alle fonti alternative “verdi”, un’occupazione dello spazio infinitamente minore, a parità di energia prodotta.
Queste le considerazioni di allora (di tipo generale e solo marginalmente applicabili alla realtà italiana), prima della crisi petrolifera (l’ennesima, forse ben lungi dal decrescere, vista l’instabilità del Nord Africa e del Medio Oriente), prima dell’esplosione della crisi economica e finanziaria e, ancor più, prima del disastro delle centrali di Fukushima.
Prescindendo da quest’ultimo evento, in considerazione soprattutto dei problemi di approvvigionamento energetico, era ritornato un certo interesse per la realizzazione di nuove centrali (in Francia, in Finlandia, negli USA con progetti concreti come l’EPR, di terza generazione, ed anche, forse più come proposta che come vero impegno, anche in altri paesi occidentali).
A questo aspetto, si deve aggiungere anche il basso costo del denaro, che potenzialmente può rendere conveniente affrontare un grosso investimento iniziale a fronte di un basso costo di funzionamento.
Non ultima componente del “revival” del nucleare la naturale “dimenticanza” di Chernobyl, ormai lontana nel tempo, e la confidenza che gli impianti moderni sono (ed è vero) molto più sicuri di quelli delle prime generazioni ed, ancor di più degli RBMK sovietici.
Per completezza, occorre aggiungere che i tempi di realizzazione ed i costi degli impianti EPR sono molto cresciuti rispetto a quelli previsti e che si sono verificati diversi problemi di tipo tecnico durante la costruzione.
E in Italia? L’Italia era uscita dal nucleare dopo il referendum del 1987, certamente sull’onda emotiva dell’incidente di Chernobyl. La moratoria, decretata dal governo l’anno successivo, si è tramutata nello smantellamento non solo delle centrali in costruzione (Trino 2, Montalto di Castro) e nel fermo definitivo di Trino 1 e Caorso, ma in un drastico ridimensionamento delle strutture operative, produttive e di controllo.
Nel settore industriale, Ansaldo Nucleare, diventata nel 2005 azienda indipendente in ambito Finmeccanica, ha mantenuto un elevato grado di competenze anche dopo la chiusura del nucleare in Italia, grazie a commesse all’estero ed a collaborazioni in ambito internazionale.
Riguardo a Ricerca e Sviluppo e aspetti di normative e controlli, solo a partire dal Luglio 2009, sono emanate le leggi che hanno ricostituito l’ENEA, come “Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile”, e la “Agenzia per la sicurezza nucleare”, rispettivamente: la prima con i compiti di studio e ricerca, la seconda di regolamentazione tecnica, controllo e autorizzazioni ai fini della sicurezza.
Sono state quindi ricreate le strutture essenziali, un tempo incentrate nell’ENEA, un tempo “Ente Nazionale Energia Atomica”, poi “Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente” (che comprendevano anche la funzione di controllo, nella DISP) in vista del varo delle previste 10 nuove centrali nucleari, destinate a coprire il 25% del fabbisogno di energia elettrica nazionale.
Ma arriveranno in tempo? E’ molto facile distruggere, molto più arduo ricostruire.
Nelle attuali condizioni di crisi economica-finanziaria, poi, è realistico pensare che un piano di questo tipo, che richiede un enorme investimento iniziale e i cui ritorni sono prevedibili in non meno di 20 anni, sia opportuno e capace di produrre benefici congiunturali?
Inoltre, sembra che si sia nettamente sottovalutato il problema della localizzazione dei futuri nuovi impianti, a parte la facile previsione di utilizzare i siti degli impianti dismessi (Trino Vercellese, Corso, Latina, Montalto di Castro); le Regioni (oltre alle popolazioni e gli Enti ambientalisti) dalle quali dipende l’autorizzazione, si sono già dichiarate, quasi tutte, non disponibili.
Riportare l’Italia al Nucleare è cosa che andrebbe trattata in modo molto serio: rilanciare programmi ben coordinati con le iniziative degli altri Paesi (v. ad esempio “Generation IV”); curare attraverso campagne di stampa molto ben documentate una informazione aggiornata sul tema dell’energia e sulla funzione del nucleare che non può e non deve essere alternativo all’eolico o al solare ma complementare, puntando al grande beneficio che tutte queste tecnologie hanno in termini di riduzione delle emissioni di CO2 e di inquinanti, coordinandone lo sviluppo con il parallelo sviluppo dei trasporti elettrici.
Inoltre, il Nucleare può ritornare in Italia solo attraverso una scelta a livello europeo. (Ente di sicurezza europea con agenzie nei vari paesi UE, Programma di ricerca europeo con partecipazione significativa dei maggiori paesi UE, scelta di uno o più siti europei di stoccaggio rifiuti ecc.).
Tutto questo prima del disastro di Fukushima, che ha portato a un ripensamento a livello mondiale e, da noi, dopo che vari ministri avevano proclamato “noi tireremo diritto!”, subito dopo quello che era successo in Giappone, ha determinato una moratoria di un anno (forse due, forse..?).
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2 Commenti per “ Vi spiego l’incidente nucleare nella centrale di Fukushima (con una riflessione)”
sergio24 ha scritto il 26 marzo 2011 16:48
@Gentile Ing. Bruno Chiantore,
mi permetto di riportare alcune(ultime) osservazioni fatte da persone che di costruzioni di centrali atomiche se ne intendono- credo -quanto Lei.
“Ora siamo tutti morti” ha detto l’ingegnere giapponese che aveva falsificato i disegni tecnici dell’involucro di base di un reattore tra quelli esplosi a Fukushima.
E questo dopo aver appreso alla televisione giapponese delle esplosioni -causate dall’idrogeno fuoriuscito dai reattori nucleari di Fukushima.
(Da Rainews 24,Scenari,di ieri sera 25-3-2011).
Fukushima già a livello 7.
“In un nuovo studio commissionato da Greenpeace Germania a Helmunt Hirsech, esperto di sicurezza nucleare ,rileva che l’incidente della centrale giapponese a Fukushima ,avrebbe già rilasciato un tale livello di radioattività da essere clasificato di livello 7, secondo l’International Nuclear Event Scale (INES).
Lo studio di Hirsch , che si basa sui dati pubblicati dall’Agenzia Governativa Francese per la Protezione dalle Radiazioni (IRSN) e dell’Istituto Centrale di Meteorologia Austriaco (ZAMG), ha rilevato che la quantità totale di radionuclidi di Jodio-131 e Cesio-137 , rilasciata da Fukushima tra l’11 ed il 13 marzo 2011 , equivale al triplo del valore minimo , per clasificare un incidente ad una centrale nucleare come livello 7 nella scala INES.
Il livello 7 è quello massimo di gravità per incidenti nucleari , raggiunto in precedenza solamente con l’incidente della centrale nucleare di Chernobyl del 1986.
(DALLA REDAZIONE DEL iL FATTO QUOTIDIANO DEL 26-3-2011-GOVERNO .”SITUAZIONE STABILE, MOLTO DA FARE”).
Massimo ha scritto il 27 marzo 2011 20:49
I danni della mancata attuazione del Piano Energetico Nazionale degli anni 80 ha provocato all’Italia dei danni economici che troppo spesso vengono trascurati. A molti (per esempio alle lobby dei petrolieri) conviene dimenticare che le nostre aziende pagano l’energia molto di più degli altri paesi europei. Le differenze sono sensibili. Il prezzo nel nostro Paese è pari a circa 66 €/MWh, mentre negli altri Paesi (Francia, Germania, Spagna, Regno Unito) oscilla tra 45 e 50 €/MWh. Guarda caso tutte hanno le centrali nucleari e molte di esse distano solo pochi chilometri dal confine italiano.
Per questo si può essere a favore o contro dell’energia nucleare, ma si deve essere coscienti che questo va al di là di una mera scelta ambientalista. Avere o meno centrali nucleari ha rappresentato e rappresenterà un scelta soprattutto economica che si è riflessa e si rifletterà inevitabilmente sulla competitività delle aziende italiane e sulla loro possibilità di creare posti di lavoro e ricchezza.